giovedì 6 novembre 2008

Le elezioni americane

Se c’è qualcuno che ha ancora dei dubbi sul fatto che l’America sia un luogo dove tutto è possibile, se qualcuno ancora si chiede se è vivo ai nostri tempi il sogno dei nostri padri, se è ancora messa in discussione il potere della nostra democrazia, stasera avete la vostra risposta


Questa è stata la prima frase pronunciata dal futuro Presidente degli U.S.A. dopo i primi dati certi dei risultati dell’election day.
Barack Obama, infatti, non è ancora stato eletto alla massima carica statunitense: questo passaggio avverrà il 15 dicembre con il voto espresso dai 538 “grandi elettori”.
Ma andiamo con ordine: chi sono i grandi elettori?
Durante l’election day il popolo statunitense non elegge direttamente il Presidente, ma esprime semplicemente la propria preferenza per un candidato piuttosto che per un altro. Ad ogni candidato alla presidenza, in ogni singolo stato della federazione, corrispondono un certo numero di grandi elettori.
Il candidato che vince, anche per un solo voto, in uno Stato, si aggiudica tutti i grandi elettori di quello Stato a lui collegati.
Ogni Stato, a prescindere dalla grandezza, ha diritto ad almeno due grandi elettori a cui va aggiunto, però, un numero pari a quello dei deputati che saranno inviati alla Camera dei rappresentanti (quest’ultimo scelto in base alla popolazione).
Considerando che i grandi elettori voteranno il proprio candidato di riferimento, quest’ultimo dovrà riuscire ad assicurarsene almeno 270 (su 538).
Barack Obama si è aggiudicato 349 grandi elettori mentre John McCain 163 (due Stati non sono ancora stati assegnati ovvero 26 grandi elettori).
Talvolta può accadere che, mentre la percentuale dei voti totali ricevuti risulta essere maggiore, i grandi elettori assegnati sono in minoranza o viceversa.
Questo dipende dal fatto che il candidato si aggiudica molti Stati minori e pochi di quelli che gli attribuirebbero un grande numero di grandi elettori; in questo modo la somma delle percentuali risulta essere rilevante, ma, nella sostanza, non si ha abbastanza “forza” per essere eletti.

L’election day è ovviamente un giorno importante e non solo per gli statunitensi, ma per il mondo intero considerato il peso politico ed economico degli U.S.A.
Esso è fissato, tradizionalmente, al primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre.
Ciò ha una logica risalente all’organizzazione della società americana del 1845.
In primo luogo la scelta del mese: novembre è il periodo in cui si lavorano meno le terre e considerato che la società di allora era prevalentemente agraria, questo era proprio il mese più adatto anche in virtù del fatto che i cittadini che abitavano nelle zone rurali avrebbero dovuto perdere intere giornate di lavoro per spostarsi nelle città ed esercitare il loro diritto di voto.
Si scelse, inoltre, di non collocare l’election day nel primo giorno della settimana poiché il giorno precedente (la domenica) era dedicato alle funzioni religiose e queste non potevano essere seguite se ci si doveva recare nei centri urbani per la votazione e così si scelse il primo martedì del mese, ma nacque il problema che esso poteva anche corrispondere con la festicità di Ognissanti e allora, per evitare questo genere di situazioni, si optò per il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre.

E a proposito di consuetudini e tradizioni, è necessario sottolineare come i pronostici iniziali si deducano anche dai cosiddetti “Stati roccaforte” ovvero quegli Stati che, storicamente, sono propensi a votare i Repubblicani piuttosto che i Democratici o viceversa.
Quest’anno, però, si sono verificati dei casi in cui degli Stati roccaforte si sono rivelati opposti alle previsioni: è successo ad esempio col North Carolina e con la Virginia che dal 1964 non erano mai stati assegnati ai Democratici, evento verificatosi durante queste elezioni.
Anche quest’anno invece, come accade ormai da circa cinquant’anni, chi si aggiudica i grandi elettori dello stato dell’Ohio, diventa Presidente degli U.S.A.
Ovviamente queste non sono da considerarsi vere e proprie statistiche, ma semplicemente delle osservazioni su dati di fatto.

Da sottolineare, inoltre, che dal 1928 non si assisteva ad un’elezione in cui nessun candidato godesse del vantaggio dell’ “incubency”, cioè del fatto di essere vice-presidente o presidente uscente. I maggiori partiti hanno scelto i loro candidati ex-novo.

A dispetto di tutte le tradizioni elencate finora, la campagna elettorale statunitense non è certo una delle più tradizionali al mondo.
Caratteristica principale del periodo precedente all’election day è senza alcun dubbio la partecipazione popolare. È facile notare come, infatti, il popolo si senta realmente coinvolto nel sostenere il proprio candidato e ciò non avviene soltanto con dimostrazioni di “affetto”, ma anche con vere e proprie donazioni di denaro o con l’acquisto di gadgets prodotti dagli stessi candidati allo scopo di finanziare parte della campagna elettorale.
La partecipazione del popolo si dimostra anche nell’affluenza alle urne. Basti pensare che quest’anno ha votato il 64,1% degli aventi diritto, percentuale che difficilmente si sarebbe raggiunta, ad esempio, in Italia, per una votazione avvenuta di martedì.
Si tratta della maggiore percentuale degli ultimi cento anni quando si raggiunse quota 65,7%.
L’incremento verificatosi quest’anno è dovuto, soprattutto, alla candidatura di Barack Obama che ha catalizzato su di sé il 95% dei voti degli afro-americani e portato alle urne un numero consistente giovani.

In alcuni stati la votazione si svolge con un sistema tradizionale, mentre in altri con un sistema elettronico.
Alcuni Stati, però, hanno deciso di abbandonare quest’ultimo sistema poiché i voti rischiavano di essere persi in caso di guasto degli apparecchi elettronici.
Si è passati, quindi, ad un sistema misto con voto su scheda cartacea e lettura del voto tramite sistema elettronico per rendere più celere lo spoglio, ma anche in questo caso si sono verificate diverse disfunzioni dovute all’inceppamento di circa settecento macchinari.
Vi è, quindi, qualche difficoltà nella scelta del sistema di votazione migliore.
Anche quello tradizionale, infatti, crea dei problemi poiché le schede risultano essere complesse e ciò porta ad una evidente difficoltà nell’atto del voto. A dimostrazione di ciò, nei vari seggi, sono distribuiti degli opuscoli che spiegano nel dettaglio le modalità di voto per diminuire al massimo gli errori dei votanti.

Cade dunque il mito di una democrazia americana vicina alla perfezione.
Questa osservazione scaturisce intanto dalla non chiarezza del sistema di voto utilizzato, ma anche dal fatto che è possibile votare anche prima della fine della campagna elettorale. L’election day, infatti, rappresenta l’ultimo giorno possibile in cui poter votare e non l’unico. Inoltre non vi sono delle sedi fisse per lo svolgimento delle elezioni: esse infatti possono avvenire all’interno di scuole, chiese o, addirittura, grandi magazzini.
Qualche critica scaturisce anche dal fatto che il candidato che supera l’altro anche di un solo voto, si aggiudica tutti i grandi elettori dello stato in questione e non in percentuale ai voti ricevuti.
Ciò rappresenta un grave deficit di democraticità.

Al di là di ogni possibile critica e contestazione, è impossibile negare che le elezioni statunitensi sono, senza alcun dubbio, tra le più attese di tutto il mondo.
Questo perché è ormai innegabile che gli U.S.A. hanno raggiunto un tale potere economico, politico e sociale che risulta assai difficile ignorarne i vari cambiamenti ai vertici istituzionali.

Riprendendo la frase iniziale pronunciata da Obama (che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2009), questa elezione risulta avere, a tutti gli effetti, il diritto di entrare a far parte della Storia poiché è la prima volta che un uomo di colore viene eletto a Presidente degli stati Uniti.
A tal proposito, torna in mente la frase pronunciata Bob Kennedy: “tra quarant’anni l’America avrà un Presidente di afro-americano”. Era la primavera del 1968, esattamente quattro decenni fa.

A prescindere dai vari programmi elettorali che, è noto, sono puntualmente messi da parte, l’unica cosa da fare, in questo momento, è augurare a Barack Obama di riuscire a gestire, con il self-control necessario, la grande macchina politica americana.

(le fonti non sono citate poichè tante e varie)

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