mercoledì 10 dicembre 2008

La mafia c'è o non c'è?

"La mafia a Salemi non c'è, a Palermo è pressoché debellata, a Ragusa non c'è, a Siracusa non c'è, a Messina non c'è, forse c'è a Gela, forse a Trapani".

"Ci sono i mafiosi ma non più la mafia. Perché la mafia non fa più sistema, nel senso che non c'è più un collegamento dei singoli mafiosi, con i loro poteri ancora attivi, ai poteri forti dell'economia".

"C’è la mafia, a mio avviso, dietro le pale eoliche. La mafia non può non avere interesse a entrare in un mercato in cui arriva molto denaro con poco sforzo distruggendo il paesaggio. Tutto ciò non si può tollerare, neanche la realizzazione di una sola torre eolica"


Ebbene queste tre dichiarazioni, seppur diverse e contrastanti tra loro, sono state fatte dalla stessa persona: il sindaco di Salemi Vittorio Sgarbi.

Giudicate un po' voi...

(fonti: castellolibero.blogspot.com - www.donlappanio.com - www.siciliainformazioni.it )

giovedì 4 dicembre 2008

La mafia che ci riguarda!

Andrea Vecchio è un imprenditore catanese che si è rifiutato di pagare il pizzo alla famiglia Santapaola ed ha denunciato e fatto arrestare i suoi estortori.
Ieri notte ha subito il furto di due escavatori da un cantiere in corso per la costruzione di una parte di autostrada nei pressi di Siracusa.
Ma non è un caso isolato: ne ha subiti ben sei negli ultimi sette mesi.
Adesso Andrea Vecchio non sa più che fare: vorrebbe ritirare la sua ditta da quel cantiere, ma in questo modo dovrebbe licenziare oltre quaranta lavoratori.

Questo ulteriore episodio ci faccia rendere conto di come le estorsioni e i danni nei confronti di un'azienda da parte della mafia, non riguardano solamente l'imprenditore colpito, ma diviene ben presto un problema sociale.
E in Sicilia non c'è persona che non sia colpita dalla mafia, anche solamente per il semplice motivo che alcune aziende sono costrette ad aumentare i prezzi dei prodotti in vendita per sopperire all'uscita di denaro dovuta al pagamento del pizzo.
Probabilmente, però, coloro che ne pagano maggiormente le conseguenze, oltre all'imprenditore stesso ovviamente, sono gli impiegati che talvolta subiscono una dimuzione di stipendio.

La mafia non riguarda solo coloro che la subiscono direttamente: riguarda tutti noi e non possiamo più continuare ad ignorarla!

martedì 18 novembre 2008

Il patrimonio del cassiere del boss

Giuseppe Grigoli è stato arrestato il 20 dicembre scorso per concorso esterno in associazione mafiosa e da subito è stato considerato il "cassiere" del boss latitante Matteo Messina Denaro.
A gennaio gli hanno sequestrato beni per un valore totale di 200 milioni di €uro; oggi per un valore di 700 milioni di €uro.
Si tratta di beni mobili e immobili appartenenti a vari gruppi facenti capo a Grigoli.
L'imprenditore, attraverso i suoi gruppi, controllava la catena di supermercati Despar nei comuni delle province di Trapani, Palermo ed Agrigento.
L'arresto di dicembre è avvenuto grazie ai "pizzini" ritrovati nel covo di Bernardo Provenzano in base ai quali era chiaro il ruolo di Grigoli nei confronti di Messina Denaro.
Ai giornalisti che gli chiedevano se l'operazione di oggi rappresenti un passo avanti verso la cattura di Messina Denaro, Scarpinato (procuratore aggiunto presso la Dda di Palermo) ha risposto "stiamo cercando di prosciugare l'acqua in cui nuota questo pesce, speriamo che avere disarticolato parte della sua potenza economica ci aiuti a raggiungere l'obiettivo finale".
I beni sequestrati a Grigoli sono 12 società, 220 fabbricati tra palazzine e ville, 133 appezzamenti di terreno per 60 ettari e uno yatch di 25 metri.
(fonte: www.a.marsala.it)

Ma ci troviamo davvero vicini alla cattura di Matteo Messina Denaro?
Probabile. Non si può negare che negli ultimi anni lo Stato ha svolto un ottimo lavoro per colpire l'organizzazione mafiosa, ma togliendo i grandi boss, rimangono i piccoli, rimangono quelli che colpiscono direttamente il popolo, tendendolo in una morsa di dipendenza economica e sociale, togliendo la dignità a chi creca lavoro e stando seduti nelle poltrone più spaziose della politica siciliana.

venerdì 14 novembre 2008

Non è eutanasia!

Il 18 gennaio 1992 Eluana aveva da poco compiuto i 21 anni.
Come tutti ormai sappiamo, ebbe un incidente che la portò ad uno stato di coma vegetativo permanente e la sua alimentazione consiste in un sondino nasogastrico.
Non dev'essere facile, per i genitori, vederla in quello stato e il padre decide di chiedere che venga interrotta l'alimentazione artificiale cercando di rispettare la sua volontà, espressa prima dell'incidente, di non vivere in quelle condizioni "disumane".
Ma si sa, la giustizia italiana è lenta e così passano anni prima che il padre riceva l'autorizzazione a procedere nel suo intento.
Siamo esattamente nell'estate 2008, ma vari ricorsi successivi bloccano la vicenda che solo la sentenza definitiva del 13 novembre, della Corte di Cassazione, stabilisce che Eluana può morire.
Sembrerebbe quasi un'esecuzione, ma di certo non è peggio di un'esistenza che può avere qualunque definizione tranne quella di "vita".
In questi casi è molto difficile prendere una posizione netta poichè è inevitabile porsi delle domande, ma io penso che se quel padre ha chiesto ciò per la figlia, significa che davvero questa non-esistenza è peggio della morte.
Ed è inutile che il Vaticano si affretti a dichiarare questa morte "eutanasia". Non lo è.
Nè giuridicamente, nè umanamente.
La questione, tra l'altro, pone le basi per legiferare sul testamento biologico che consiste, semplicemente, nel rispetto della volontà di chi non vuole vivere, su di sè, quell'accanimento terapeutico che toglie la Dignità ad una persona che già non vive più.

Eluana, di certo, tornerà a sorridere...

(per un approfondimento sulla vicenda
visita http://www.alcamo.it/default.asp#comm_20)

sabato 8 novembre 2008

Il nostro non coraggio di cambiare


Non sono mai stata filo-americana, ma in questo periodo invidio il popolo statunitense.
Intanto perchè hanno avuto il coraggio di cambiare.
Non so se Barack Obama sarà un buon Presidente, non posso saperlo, ma ciò che è certo è che la popolazione ha provato a cambiare.
Tutto questo in Italia non succede: al momento siamo un popolo assopito, ci accontentiamo di ciò che abbiamo e pensiamo di non meritare di meglio.
Non so fino a che punto la classe politica sia la rappresentazione di ciò che è la società.
Un alta carica ad un quarantasettenne in Italia non sarebbe possibile semplicemente perchè non c'è spazio per questa categoria di politici.
Berlusconi ha 72 anni, Veltroni 53...quindi il Presidente del Consiglio e il capo dell'opposizione hanno una media di 62 anni e mezzo e non consideriamo il Presidente della Camera, quello del Senato e quello della Repubblica.
Come potranno mai, queste persone, comprendere noi giovani che siamo il Futuro?
Apparteniamo a generazioni diverse, non c'è punto di contatto tra noi e loro e quindi non c'è contattato tra il Presente (loro) e il Futuro (in teoria noi).
E che dire di un Presidente del Consiglio che le uniche cose che sa dire a proposito del neo eletto Obama sono che è giovane, bello e abbronzato e che lui lo aiuterà con la sua esperienza?
Ma davvero pensa che Obama ha bisogno di lui per portare avanti la Nazione più potente del mondo?
E dice tutto questo ad un incontro ufficiale con il Presidente russo Medvedev epoi non osa smentire, anzi rincara la dose colpevolizzando la sinistra italiana!!!
Ma che c'entra? Era un incontro pubblico, di Stato e la notizia ha fatto il giro del mondo in pochissimi minuti.
Io mi vergogno seriamente di qeuste sue affermazioni per non parlare del fatto che, sempre durante quell'incontro, ha anche dato ragione alla Russia rirguardo gli ultimi attacchi alla Georgia.
Questa persona dovrebbe solo tacere, accettare la senilità, stare con i nipotini e tacere.
Abbiamo pochissima credibilità a livello mondiale, eppure, in linea teorica, l'Italia dovrebbe essere uno degli Stati più importanti.
Io sono stanca.
E volete darmi torto se invidio l'America che ha avuto il coraggio di cambiare?

giovedì 6 novembre 2008

Le elezioni americane

Se c’è qualcuno che ha ancora dei dubbi sul fatto che l’America sia un luogo dove tutto è possibile, se qualcuno ancora si chiede se è vivo ai nostri tempi il sogno dei nostri padri, se è ancora messa in discussione il potere della nostra democrazia, stasera avete la vostra risposta


Questa è stata la prima frase pronunciata dal futuro Presidente degli U.S.A. dopo i primi dati certi dei risultati dell’election day.
Barack Obama, infatti, non è ancora stato eletto alla massima carica statunitense: questo passaggio avverrà il 15 dicembre con il voto espresso dai 538 “grandi elettori”.
Ma andiamo con ordine: chi sono i grandi elettori?
Durante l’election day il popolo statunitense non elegge direttamente il Presidente, ma esprime semplicemente la propria preferenza per un candidato piuttosto che per un altro. Ad ogni candidato alla presidenza, in ogni singolo stato della federazione, corrispondono un certo numero di grandi elettori.
Il candidato che vince, anche per un solo voto, in uno Stato, si aggiudica tutti i grandi elettori di quello Stato a lui collegati.
Ogni Stato, a prescindere dalla grandezza, ha diritto ad almeno due grandi elettori a cui va aggiunto, però, un numero pari a quello dei deputati che saranno inviati alla Camera dei rappresentanti (quest’ultimo scelto in base alla popolazione).
Considerando che i grandi elettori voteranno il proprio candidato di riferimento, quest’ultimo dovrà riuscire ad assicurarsene almeno 270 (su 538).
Barack Obama si è aggiudicato 349 grandi elettori mentre John McCain 163 (due Stati non sono ancora stati assegnati ovvero 26 grandi elettori).
Talvolta può accadere che, mentre la percentuale dei voti totali ricevuti risulta essere maggiore, i grandi elettori assegnati sono in minoranza o viceversa.
Questo dipende dal fatto che il candidato si aggiudica molti Stati minori e pochi di quelli che gli attribuirebbero un grande numero di grandi elettori; in questo modo la somma delle percentuali risulta essere rilevante, ma, nella sostanza, non si ha abbastanza “forza” per essere eletti.

L’election day è ovviamente un giorno importante e non solo per gli statunitensi, ma per il mondo intero considerato il peso politico ed economico degli U.S.A.
Esso è fissato, tradizionalmente, al primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre.
Ciò ha una logica risalente all’organizzazione della società americana del 1845.
In primo luogo la scelta del mese: novembre è il periodo in cui si lavorano meno le terre e considerato che la società di allora era prevalentemente agraria, questo era proprio il mese più adatto anche in virtù del fatto che i cittadini che abitavano nelle zone rurali avrebbero dovuto perdere intere giornate di lavoro per spostarsi nelle città ed esercitare il loro diritto di voto.
Si scelse, inoltre, di non collocare l’election day nel primo giorno della settimana poiché il giorno precedente (la domenica) era dedicato alle funzioni religiose e queste non potevano essere seguite se ci si doveva recare nei centri urbani per la votazione e così si scelse il primo martedì del mese, ma nacque il problema che esso poteva anche corrispondere con la festicità di Ognissanti e allora, per evitare questo genere di situazioni, si optò per il primo martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre.

E a proposito di consuetudini e tradizioni, è necessario sottolineare come i pronostici iniziali si deducano anche dai cosiddetti “Stati roccaforte” ovvero quegli Stati che, storicamente, sono propensi a votare i Repubblicani piuttosto che i Democratici o viceversa.
Quest’anno, però, si sono verificati dei casi in cui degli Stati roccaforte si sono rivelati opposti alle previsioni: è successo ad esempio col North Carolina e con la Virginia che dal 1964 non erano mai stati assegnati ai Democratici, evento verificatosi durante queste elezioni.
Anche quest’anno invece, come accade ormai da circa cinquant’anni, chi si aggiudica i grandi elettori dello stato dell’Ohio, diventa Presidente degli U.S.A.
Ovviamente queste non sono da considerarsi vere e proprie statistiche, ma semplicemente delle osservazioni su dati di fatto.

Da sottolineare, inoltre, che dal 1928 non si assisteva ad un’elezione in cui nessun candidato godesse del vantaggio dell’ “incubency”, cioè del fatto di essere vice-presidente o presidente uscente. I maggiori partiti hanno scelto i loro candidati ex-novo.

A dispetto di tutte le tradizioni elencate finora, la campagna elettorale statunitense non è certo una delle più tradizionali al mondo.
Caratteristica principale del periodo precedente all’election day è senza alcun dubbio la partecipazione popolare. È facile notare come, infatti, il popolo si senta realmente coinvolto nel sostenere il proprio candidato e ciò non avviene soltanto con dimostrazioni di “affetto”, ma anche con vere e proprie donazioni di denaro o con l’acquisto di gadgets prodotti dagli stessi candidati allo scopo di finanziare parte della campagna elettorale.
La partecipazione del popolo si dimostra anche nell’affluenza alle urne. Basti pensare che quest’anno ha votato il 64,1% degli aventi diritto, percentuale che difficilmente si sarebbe raggiunta, ad esempio, in Italia, per una votazione avvenuta di martedì.
Si tratta della maggiore percentuale degli ultimi cento anni quando si raggiunse quota 65,7%.
L’incremento verificatosi quest’anno è dovuto, soprattutto, alla candidatura di Barack Obama che ha catalizzato su di sé il 95% dei voti degli afro-americani e portato alle urne un numero consistente giovani.

In alcuni stati la votazione si svolge con un sistema tradizionale, mentre in altri con un sistema elettronico.
Alcuni Stati, però, hanno deciso di abbandonare quest’ultimo sistema poiché i voti rischiavano di essere persi in caso di guasto degli apparecchi elettronici.
Si è passati, quindi, ad un sistema misto con voto su scheda cartacea e lettura del voto tramite sistema elettronico per rendere più celere lo spoglio, ma anche in questo caso si sono verificate diverse disfunzioni dovute all’inceppamento di circa settecento macchinari.
Vi è, quindi, qualche difficoltà nella scelta del sistema di votazione migliore.
Anche quello tradizionale, infatti, crea dei problemi poiché le schede risultano essere complesse e ciò porta ad una evidente difficoltà nell’atto del voto. A dimostrazione di ciò, nei vari seggi, sono distribuiti degli opuscoli che spiegano nel dettaglio le modalità di voto per diminuire al massimo gli errori dei votanti.

Cade dunque il mito di una democrazia americana vicina alla perfezione.
Questa osservazione scaturisce intanto dalla non chiarezza del sistema di voto utilizzato, ma anche dal fatto che è possibile votare anche prima della fine della campagna elettorale. L’election day, infatti, rappresenta l’ultimo giorno possibile in cui poter votare e non l’unico. Inoltre non vi sono delle sedi fisse per lo svolgimento delle elezioni: esse infatti possono avvenire all’interno di scuole, chiese o, addirittura, grandi magazzini.
Qualche critica scaturisce anche dal fatto che il candidato che supera l’altro anche di un solo voto, si aggiudica tutti i grandi elettori dello stato in questione e non in percentuale ai voti ricevuti.
Ciò rappresenta un grave deficit di democraticità.

Al di là di ogni possibile critica e contestazione, è impossibile negare che le elezioni statunitensi sono, senza alcun dubbio, tra le più attese di tutto il mondo.
Questo perché è ormai innegabile che gli U.S.A. hanno raggiunto un tale potere economico, politico e sociale che risulta assai difficile ignorarne i vari cambiamenti ai vertici istituzionali.

Riprendendo la frase iniziale pronunciata da Obama (che si insedierà alla Casa Bianca il 20 gennaio 2009), questa elezione risulta avere, a tutti gli effetti, il diritto di entrare a far parte della Storia poiché è la prima volta che un uomo di colore viene eletto a Presidente degli stati Uniti.
A tal proposito, torna in mente la frase pronunciata Bob Kennedy: “tra quarant’anni l’America avrà un Presidente di afro-americano”. Era la primavera del 1968, esattamente quattro decenni fa.

A prescindere dai vari programmi elettorali che, è noto, sono puntualmente messi da parte, l’unica cosa da fare, in questo momento, è augurare a Barack Obama di riuscire a gestire, con il self-control necessario, la grande macchina politica americana.

(le fonti non sono citate poichè tante e varie)